Che cos’è la fiaba? Ha ancora senso un simile racconto nella nostra grigia modernità? Intorno a queste domande si sono spesi fiumi d’inchiostro. Per alcuni la fiaba è solo un racconto zuccheroso per bambini, tutta moralità e luoghi comuni – in cui “l’autore” rispecchia le sue credenze sociali e morali –, e dovrebbe essere riscritto per adattarlo ai nuovi valori, mentre per altri la fiaba si raggiunge solo attraverso l’antica via imboccata dai Grimm, e ripresa da folkloristi, filologi e letterati, una via non così perduta come la cornice del mondo contemporaneo ce la fa apparire.
Ma cosa significa “seguire la strada dei Grimm”? Significa anzitutto dare alla fiaba tutta la dignità e la sacralità che questa narrazione aveva un tempo quando la sua cornice non era uno spaiato gruppo di bambini che ascoltano disattenti delle storie goffamente censurate, ma un’intera comunità che ascoltava, nelle notti d’inverno, storie antiche quanto il paesaggio che la circondava. Si tratta di storie destinate a mutare a ogni narrazione, come in una spirale crescente in cui ogni cerchio non può ricalcare il precedente.
La forza magica di questo testo, che incanta pubblico e narratore, si muove nell’incantesimo descritto bene da Zipes con queste parole, «devono essere raccontate perché furono raccontate», lasciando intendere per i “moderni” narratori, come Straparola e Basile, un’esigenza primaria di racconto quasi pervasa dal potere di un’estasi sciamanica. Folkloristi e letterati “toccati” da quest’esigenza scivolano quasi nella romantica figura del marinaio di Coleridge, in cui il narrare la sua storia non è solo lo scopo della vita ma anche il motivo per cui rimane in vita. Il narratore che trascrive alla lettera, o riplasma letterariamente, queste storie non giunge a provare la nota «atroce agonia» dell’eroe romantico – che lo spinge all’infinita narrazione della storia –, ma la fiaba anche in tempi moderni conserva (spesso implicitamente) una sacralità che fa connettere, l’assetato uomo moderno, con sistemi di credenze, valori e riti proprie di un mondo scivolato nell’ombra della storia e in attesa (attraverso la fiaba) di poter finalmente riabbracciare l’Io perduto.
Nella Dialettica dell’illuminismo viene detto che «l’illuminismo prova orrore mitico per il mito», un orrore irrazionale, cieco, che potrebbe essere ben espresso dal famoso quadro di Munch dal titolo L’urlo, verso queste narrazioni arcaiche in cui spesso si sospende la distinzione tra parola e cosa. Questa totalità dell’immagine mitica che Cassirer descrive «nel suo annullare tutte le particolarità individuali delle cose in un’unica sfera mitico-magica» sarà destinata a franare nella temporalità attraverso il necessario monopolio razionale attraverso una lingua “denominativa”. Il linguaggio della fiaba è innanzitutto una forma di vita – un modo di connettere l’uomo alle sue origini e ai suoi fondamenti – anche nel nostro tempo dominato da una modernità post-capitalistica (in cui il Capitale si muove ancora con la ferocia implacabile di un’Idra rinata). Esiste solo un tipo di linguaggio estraneo a questa funzione “vitale”, quello della cosiddetta Intelligenza artificiale, quello delle AI, che, come affermato più volte da Searle, rappresenta «un codice estraneo» all’apprendimento e al pensiero umano. L’uomo in una fase poetica/prerazionale ha dato senso al mondo con gli Universali Fantastici di Gian Battista Vico, fino a raggiungere il linguaggio denotativo (e alla connessa razionalità) volto a catalogare e conoscere ogni aspetto dello scibile, dal microcosmo al macrocosmo, ma la modernità ora ci pone dinanzi a un paradosso per l’intelligenza umana, e per l’intelligenza in generale, cioè delle AI che fagocitano costantemente un’enorme quantità di dati (impossibili da assimilare da qualsiasi esistente) e in una zona grigia, estranea all’esistenza, ne cercano gli schemi e i risultati probabili.
Il “nuovo uomo” oggi non si trova più a essere in tensione tra il paradigma prerazionale (proprio di fiaba e mito) con quello razionale (di scienza e filosofia) ma lui, unico nell’universo, in grado di fare «un uso infinito di mezzi finiti», come detto abilmente da Chomsky, si mette a usare come mezzo (e sempre più spesso come un fine in sé) le AI, cioè qualcosa che deduce correlazioni brutali tra i dati senza creare alcun tipo di “spiegazione”. Un modello dell’esistere che rappresenta ciò che ha caratterizzato l’uomo fin dalla sua apparizione sul mondo che, con la fiaba e il mito prima, e con il dominio filosofico/scientifico poi, ha dato senso all’esistenza umana bisognosa di “leggere e comprendere” il caos che la circondava e la sovrasta.
Si raggiungono delle soluzioni dell’esistenza senza un’effettiva comprensione del mondo seguendo le direttive di un dio informatico che – proprio come gli antichi dèi del caos, come Crono – decide l’azione dell’uomo senza che questi possa agire in modo maieutico sul piano imposto. L’ipotetica efficacia dell’ordine annulla secoli di sviluppo razionale cancellando “l’altra via” aperta da Socrate oltre due millenni fa.
Se nell’epoca del mito Zeus l’ordinatore, opposto al caos dei Titani, ha dato senso al cosmo, questo nuovo “dogmatismo” delle AI scende dall’alto come un ordine di Crono che va applicato ciecamente in un mondo nuovamente inconoscibile. L’efficacia oggettiva di quell’ordine sempre più “sacro”, e sempre meno strumentale, scavalca e ridicolizza le capacità umane che, senza le abilità razionali, riscendono nella nera notte delle superstizioni. Stretto in questi binari il mondo diventerà sempre più inconoscibile e innominabile dominato da un mezzo (ormai divenuto fine) che fagociterà l’essenza stessa dell’uomo. Di fronte a questo quadro distopico esiste un’unica forma di difesa, stringersi con mano ferma alle radici dell’uomo assaporandone la linfa originaria attraverso la fiaba, il mito, e l’Arte che l’uomo ha “creato” facendosi dio, un dio autentico e antitetico al Replicatore Artificiale che crediamo infantilmente di tenere ancora come un mezzo tra le nostre mani.
1Paolo Battistel
1Paolo Battistel è docente universitario ed esperto di fiabe e mitologia precristiana. Il suo ultimo libro è ‘L’arcolaio delle fiabe. Il femminile e la trasfigurazione nei racconti popolari,” Oligo editore.