C’è un mito antico, che forse in pochi conoscono. Ci è stato tramandato dallo scrittore romano Igino, nella sua raccolta di Fabulae. È il mito di Cura: cura con la C maiuscola, perché è di una persona che si parla, o meglio di una dea! Pensare a questa parola, non solo come a un concetto astratto, ma anche come a un essere vivente, sia pure esistente in una dimensione di fantasia, può assumere una valenza importante. Ci aiuta, infatti, a familiarizzare con questa parola, a capirne meglio il senso, considerandola come se fosse qualcosa di più vero, di vicino: un concetto che si fa vivo e agisce nel mondo, proprio come noi.
Scopriamolo, allora, questo mito, che, come tutti questi tipi di racconto, ha il potere di parlare una lingua senza tempo, imprimendo messaggi profondi, che risuonano attualissimi. Questa versione, adattata a una fascia di piccoli lettori, crediamo rappresenti un testo interessante da sottoporre ai bambini, così come sarà interessante riflettere con loro su tutte le sensazioni e idee che potranno scaturire. Il mito potrebbe essere letto in cerchio, magari seduti a terra su dei cuscini, per attivare meglio il senso del contatto, dell’ascolto radicato nel qui e ora. Quindi, come in un vero e proprio circle time, si potrebbe partire con questa domanda aperta: che cos’è la cura? Siamo certi che emergeranno risposte illuminanti…
FASCIA DI ETÀ CONSIGLIATA: IV Elementare CHIAVI DI LETTURA: La cura come base e origine dell’esistenza umana; la cura come presenza costante. SPUNTI DI LAVORO LINGUISTICO: analizzare parole difficili: insufflare, humus, dirimere, apprensione. SPUNTI CREATIVI: proporre ai bambini di raffigurare Cura e chiedere se ha dei tratti di somiglianza che ricordano persone di loro conoscenza, stimolando una discussione (es. la mamma, la nonna, il fratello maggiore… perché?) |
Un tempo la dea Cura stava passeggiando lungo un fiume. Dovendolo attraversare, la sua attenzione fu catturata dallo strato di fango argilloso su cui stava poggiando il piede. Attratta da quella ricca e morbida terra, Cura ne raccolse un po’ e con il dolce tocco delle sue mani cominciò a modellarla, fino a realizzare una sagoma dalle fattezze di un uomo.
Caso volle che passasse di lì Giove, il signore degli dei, il quale apprezzò molto quella figura creata dalle mani della dea. Cura gli chiese di infondergli lo spirito vitale, in modo da animarla, donandole, appunto, la vita. Giove accettò e tramite il suo soffio rese viva la figura. Entusiasta, Cura gli chiese il permesso di dare a quella creatura il proprio nome, per intestarsi i meriti di quel capolavoro. Giove, in questo caso, glielo negò. Il nome, semmai, doveva essere il suo, poiché era suo il merito di averle donato la vita. Scoppiò una lite fra i due e, come se non bastasse, sopraggiunse la dea Terra, la quale rivendicava nientemeno che su di sé il diritto di nominarla. La materia con cui quella creatura era stata plasmata proveniva dalla terra: non c’era dubbio che dare il nome spettasse a lei!
Né Cura né Giove né Terra erano intenzionati a cedere. E fu così che convocarono il dio Saturno, per dirimere la questione. Il dio ci pensò su e infine decretò: l’anima di quell’essere, una volta morto, sarebbe tornata a Giove, poiché era stato lui a insufflargli lo spirito vitale; il corpo sarebbe invece andato alla Terra, poiché da lei proveniva la materia di cui era composto. E a Cura? Vi chiederete! A lei sarebbe toccato di occuparsi della creatura mentre era viva. Era lei che la aveva plasmata, quindi era lei che avrebbe dovuto accudirla costantemente. E il nome? Il nome di quella creatura – decise Saturno – sarebbe stato “uomo”, poiché era stata creata dall’humus, da quel miscuglio di fanghiglia e sostanze che la dea aveva raccolto nel fiume. Cura si occupò dell’uomo tutta la vita, giorno e notte, conoscendo la sua fragilità e tutti i pericoli del mondo. In lei c’erano sentimenti di apprensione e di gioia insieme, e non passava un solo istante che questa dea, buona e gentile, mancasse di dedicarsi a lui, con tutto l’amore di cui era capace.